Marcello goes to Krabi, Thailand
AIPC News 23: 19-22, AIPC News 24: 22-29 (2003).

Epoca dei fatti: 9 gennaio 2002 - 29 marzo 2002.
Le foto sono screenshot del 2020 presi dal video girato nel 2002.

Così eccomi a Bangkok il 9 gennaio 2002, dopo tre mesi di lavoro in Australia. Mentre lavoravo all'Orto Botanico di Sydney, ho fatto una piccola ricerca per vedere che piante carnivore avrei potuto trovare in natura qui in Thailandia. Ci sono una ventina di specie di Utricularia e Nepenthes gracilis, N. mirabilis e N. ampullaria. Le mie speranze sono di trovare qualche nuova specie - visto che tutti visitano il Borneo, la Malesia, etc. ma nessuno viene a esplorare la Thailandia in cerca di Nepenthes - e qualche Utricularia che altrimenti sarebbe impossibile da trovare in commercio. In ostello, giorno dopo giorno, mi organizzo per capire cosa fare per i prossimi mesi. Sono qui per spendere il meno possibile, per trovare un alloggio e condurre vita locale per tre mesi. Dopo varie ricerche, una ragazza mi consiglia Krabi, un paesino nel sud della penisola che sorge sulla foce del fiume Krabi. Dista una notte di bus da Bangkok, non è distante dal confine della Malesia (l'unico confine senza la malaria dove avrei potuto rinnovare il visto), è in un posto poco battuto dai turisti, quindi economico, ma allo stesso tempo piacevole e ben fornito. Così mi fido e parto per Krabi. Durante il viaggio, a poche ore dall'arrivo, già comincio a rendermi conto che servirebbe un anno per visitare le centinaia di paludi e acquitrini che vedo tra una casa e l'altra. Sembrano usciti da un libro di piante carnivore. Arrivo a Krabi e dopo un paio di giorni trovo una stanza con letto matrimoniale, spaziosa, pulita e con ampie finestre, per cinquanta euro al mese. Dove ora sto scrivendo quest'articolo. Un quarto del prezzo normale, vista la mia promessa di restare per più di un mese. Sono ansioso di iniziare le ricerche botaniche, anche perché una volta sistematomi, visitata la piccola città, mangiato e bevuto, non c'è altro da fare se non guardare la TV via satellite.



Il 18 gennaio noleggio una bici e comincio le mie avventure nel modo disorganizzato e irresponsabile tipico di chi si annoia a morte e rischia tanto per divertirsi. Infatti, dal ragazzo che lavora nella mia guesthouse, che fa anche da guida turistica nelle foreste, apprendo che dove voglio andare io ci sono cobra e scorpioni letali. Tuttavia, per quanto riguarda zanzare della malaria e sanguisughe, non ci sono problemi. Convinto che mi voglia solo vendere il suo tour organizzato e sicuro, io preferisco mettere calzoncini e sandali, prendere la bici e andare. Non so neanch'io dove. Pedalo per un'oretta, le case cominciano a sparire e le macchie di foresta, le coltivazioni di piante tropicali e le risaie asciutte aumentano. E io sempre in bici, con lo zaino, sul bordo dell'unica strada statale che attraversa tutta la costa. Inizio a fermarmi ogni dieci minuti per visitare qualunque pozza d'acqua incontri. Ma i grandi prati che trovo sono per la maggior parte asciutti e, quando c'è acqua, è inquinata dalle case e fabbriche dei dintorni. Niente piante carnivore, ma non mi arrendo. Sono ormai le quattro, ed ero partito all'una. Il sole e il caldo sono sopportabili grazie a una brezza costante garantita dalla vicinanza del mare. Continuo a pedalare e dopo un po', sulla destra, entro in una zona ampia e senza troppi alberi. E' quello che fa per me. Camminando, vedo un paio di bellissimi acquitrini sui due lati. Guardo attentamente, ma niente piante carnivore. Ormai sono quasi le cinque, è ora di tornare a casa. "Arrivo in fondo a quest'ultima stradina e per oggi basta", mi dico. Senza molte speranze, visto che, se nei due acquitrini non ho trovato niente, cosa dovrei trovare
venti metri più in là? Trovo un laghetto bellissimo, lucente, circondato da erba alta e vegetazione lussureggiante. Una meraviglia nascosta alla fine di quella viuzza dall'aspetto così modesto. Un laghetto che si estende e va nella direzione del mare, prendendo sempre più l'aspetto di una grande palude, con parti più asciutte dove i ciuffi d'erba crescono anche nell'acqua. Ma questa è solo la descrizione della sensazione provata nel primo secondo e mezzo. Subito dopo, i miei occhi scansionano affamati la superficie del laghetto, che dista ancora una decina di metri da me. Al terzo secondo, i miei occhi trasudano un "ti prego, fa che sia quello che penso". La superficie dell'acqua, nel lato del lago più vicino a me, è coperta di fiorellini gialli. Sono poche le piante con quello stile. Corro, quasi commosso, corro, e chi se ne frega dei serpenti e degli scorpioni. Finalmente, sulla riva, la pace scende nel mio cuore. Utricularia. Utricularia aurea, in fiore. Centinaia di fiori. Silenziosa, come se niente fosse, persa in quel diavolo di laghetto, a poche decine di metri dalla strada, a metà fra Krabi e il suo aeroporto. La mia estasi viene interrotta da una voce: "You! You!". Chi mi chiama è un tizio dall'aria manageriale, accanto a un grosso camion. Stanno facendo dei lavori, quindi non posso procedere a vedere il resto della palude. Vorrei andare a guardare le piante più da vicino, ma il manager mi fa un gesto con la mano a indicare che ci sono i serpenti d'acqua. Comunque, da quel lato, le piante sono inavvicinabili. Così cammino lungo il bordo del laghetto e arrivo dalla parte opposta. Le piante sono di meno ma sempre belle. Utricularia aurea è l'unica specie presente. Mi guardo attorno in cerca di altri fiorellini o ascidi. Nulla. Ma scopro di essere osservato. Dietro di me, a circa cinque metri, dagli alberi spuntano la testa e le zampe anteriori di un grosso bue, con corna orizzontali di cinquanta centimetri. Mi fissa, immobile, con lo stesso sguardo che ho notato più di una volta anche negli abitanti di Krabi, quello sguardo che dice: "E questo chi cavolo è? Che ci fa qui?". Non so chi dei due avesse più paura, ma anche se sono sicuro che fosse un animale docilissimo, ho preferito lasciarlo al suo pascolo e sono tornato felice e soddisfatto alla mia comoda cameretta in città, a ristorarmi con frittelle di banana e Coca-Cola.

Il 21 gennaio è tempo di riprovarci. Voglio recarmi a Khlong Thom, sempre sulla stessa strada e nella stessa direzione ma a mezz'ora di bus da Krabi. Quando arrivo (stavolta con jeans e scarpe, niente più sandali), comincio col solito procedimento. Cammino sul ciglio della strada e cerco da una parte e dall'altra le zone umide. Sono arrivato alle 10:30 e sarò libero di tornare a casa solo verso le 16:00. Ma questo sarà un giorno che non potrò mai dimenticare. Cammino fino alle due del pomeriggio senza vedere l'ombra di una pianta carnivora, tutto troppo asciutto o inquinato, o forse acque col pH sbagliato. Poi vedo una casetta. Accanto c'è un laghetto che sembra artificiale. Nessuna pianta dentro, e l'acqua è opaca e di color azzurro turchese. Ma tutto intorno la vegetazione promette bene. Pochi ciuffi d'erba e per il resto terra piatta, col sole a picco. Quindi terreno probabilmente povero, luce in abbondanza e acqua vicina, anche se forse inquinata dalla casa. Inizio a inoltrarmi in questa realtà parallela dall'aspetto e dai colori così bizzarri. Guardo in basso, cercando qualche Utricularia terrestre. Con la coda dell'occhio vedo, qualche metro più in là, tra i sottili fili d'erba, delle foglie ben più larghe. Mantengo la calma e, allungando lo sguardo, seguo la forma delle foglie per cercarne la punta. Ci siamo, sulla punta c'è un viticcio. Riabbasso lo sguardo per riprendere il controllo di me stesso. "Okay, è una Nepenthes. Ora stai tranquillo e vai a vedere più da vicino", mi dico. Sì, è una Nepenthes, N. mirabilis per la precisione. I bordi delle foglie sono zigrinati, la parte più alta del peristoma è leggermente crestata, gli ascidi vanno dal rosa soffuso al giallo. Non sembra avere l'aspetto tipico di N. mirabilis, ma ne esistono così tante forme. La pianta è in fiore, alta un metro e un po' moscia per la mancanza d'acqua. Il terreno è una compattissima sabbia rossiccia. Devo grattare un bel po' per disfarla e accorgermi che effettivamente è sabbia e non argilla, e anche molto asciutta. Probabilmente comincia a essere umida solo a una certa profondità. Intorno trovo una decina di piante più piccole, ma nient'altro in tutto il resto del prato. La prima Nepenthes in natura della mia vita, e l'ho trovata da solo, ancora una volta in un angolo remoto e silenzioso ai confini del mondo. Di nuovo, come era successo in Australia, mi stupisco di come queste piante possano essere così adattabili e allo stesso tempo così specializzate. Ho camminato per tutto il giorno e quelle poche Nepenthes hanno deciso di crescere solo lì, in un'area asciutta di pochi metri quadri dentro un prato enorme. La scoperta mi ha ridato le forze e continuo a camminare, ma anche se non trovassi nulla, sarei comunque contento per i prossimi due mesi. Il paesaggio va via via asciugandosi, così mi riprometto di tornare a casa dopo il prossimo stagno, palude o posto utile. Seguo una salita sulla sinistra e mi trovo davanti a una grande riserva d'acqua di forma rettangolare. Dev'essere un allevamento di pesci o gamberetti. Tutto intorno, piccole palme e piante da frutto. L'acqua ha un movimento costante, sulla superficie non cresce nulla e sui bordi c'è solo erba. Vedo l'angolo da cui arriva l'acqua, si trova in un anfratto fangoso, con pozze d'acqua ed erba a ciuffi. E' quello che resta della palude ormai trasformata in allevamento. L'ambiente è quello giusto, corro a vedere. L'anfratto è largo solo pochi metri, ma abbassandomi vedo subito qualche decina di piccoli fiori gialli sparsi sul fango. E' U. scandens. Più in là il terreno diventa sabbioso e ricco di felci, ma stranamente niente piante carnivore. Mi potrei accontentare, ma dal pendio vedo in basso un'altra oasi perfetta. Una larga conca erbosa, col fondo acquitrinoso e vegetazione bassa di ogni tipo. Perfetto. Senonché, dopo aver setacciato ogni angolo di quella che avrebbe dovuto essere una riserva di utricularie, trovo un solo fiore, nella parte più asciutta. E' un fiore bianco, è quello di U. geoffrayi. Le foglie sono invisibili, ma si trovano probabilmente poco sotto la superficie. Il terreno assomiglia molto all'argilla grigiastra che potremmo trovare in qualunque giardino. Anche stavolta è stata una giornata piena, posso tornare a casa soddisfatto. Sulla strada incontro il solito gruppo di ragazzi che mi dicono: "Hello!". Hanno uno di quei carretti collegati a un motorino che usano per vendere la merce al mercato. Punto l'indice verso il mio petto, poi verso il carretto e infine verso l'orizzonte, dicendo con aria interrogativa: "Krabi?". Sono felicissimi di accontentarmi, balzo in groppa al curioso mezzo e risparmio i soldi dell'autobus.

Il giorno dopo, 22 gennaio, sono talmente entusiasta che parto ancora in esplorazione. Stavolta la meta è Nuea Khlong, ancora sulla stessa statale, a metà fra l'aeroporto e Khlong Thom, dov'ero stato ieri. Arrivo con l'autobus alle 9:30 e stavolta resterò in giro fino alle 16:30. Per pranzo mi sono portato un grosso casco di banane. Cammina cammina, dopo le solite pozze vuote, ecco alla mia destra, un paio di metri sotto il livello della strada, un gran bel prato acquitrinoso tutto cespugli e fango. Ormai i posti giusti li riconosco al volo. Scendo fra l'erba alta, sperando che i serpenti mi sentano e scappino, e seguo quello che sembra un sentiero già battuto. Dirigendomi verso lo stagno principale trovo, sul piccolo sentiero, cinque o sei fiori di U. scandens. Sono molto distanti dall'acqua e il terreno è molto asciutto. Andando avanti, il terreno comincia a sprofondare in modo preoccupante sotto il mio peso, ma camminando piano e mettendo i piedi sui ciuffi d'erba evito di bagnarmi oltre le scarpe. Un lato dello stagno ospita una decina di U. aurea. Ma ciò che cattura la mia attenzione sta nella zona di fango argilloso dove l'erba finisce e l'acqua inizia. Dal fango spuntano alcune decine di piccoli fiorellini gialli. E' U. gibba, che non cresce né in acqua né in terra, ma solo in quella via di mezzo, mostrando unicamente i suoi fiori e restando per il resto coperta dalla melma. Ripreso il percorso sulla strada statale, incontro varie paludi per la maggior parte irraggiungibili a causa dell'acqua troppo alta, e io sono senza stivali. Riesco però a vedere da lontano che l'U. aurea cresce un po' ovunque quando c'è abbastanza acqua. Così passa la mattinata, mi rifocillo con le banane, e le ore più calde del primo pomeriggio sono le più deludenti. Vado avanti per ore e le zone umide si fanno sempre meno frequenti. Dopo più di tre ore di cammino sotto il sole, e senza più vedere piante carnivore, mi sembra il caso di ricordarmi che è meglio cercare il modo di tornare a casa, visto che non so a che distanza sia il più vicino paese dove prendere un autobus. Provo con l'autostop ma le macchine che passano sono poche. Si fanno le quattro, quando, sulla destra, vedo che a un paio di metri sotto il livello della strada c'è un piccolo spazio, coperto di promettente sabbia bianca e pochi ciuffi d'erba, proprio tra la discesa e la foresta. Aguzzo subito la vista e... una foglia larga... sembra una Nepenthes! Una? Scendo a guardare. Decine di Nepenthes, grandi da 10 cm a un paio di metri. E' sempre N. mirabilis, ma stavolta, oltre a crescere bassa, si alza appoggiandosi e arrotolando i viticci su alcuni alberelli e cespugli più alti, per fiorire all'altezza della strada. Il terreno è una sabbia rosa molto chiara, asciutta in superficie ma già molto umida a meno di 10 cm di profondità. Gli ascidi variano molto in forma e colore, da giallo a rosa a rosso, con peristomi più o meno circolari e più o meno crestati. Guardo in basso, sul terreno, per vedere se trovo magari anche... ma sì, e stavolta è qualcosa di nuovo, U. minutissima. Tutta l'area, larga un paio di metri e lunga una decina, è piena dei suoi piccoli fiorellini viola e bianchi. Più in là, la zona si allarga e il paesaggio sembra cambiare, con vegetazione erbosa più diffusa e un terreno argilloso che a quanto pare non piace alle piante carnivore. Comunque pure oggi ne è valsa la pena, e stavolta il mio autostop è più deciso. Dopo pochi minuti si ferma un camioncino e il guidatore, suppongo un contadino, mi dice qualcosa in thailandese. Da non crederci, per tutto il viaggio mi ha parlato in thailandese, nonostante io gli spiegassi in svariati modi, uno più elementare dell'altro, che non parlo la sua lingua.

Le spedizioni riprendono il 2 marzo, ma senza molti risultati. Durante le mie camminate tutti i posti che vedo sono asciuttissimi. Pensandoci bene, è da quando sono in Thailandia che non cade una goccia di pioggia. La ragione, scoperta un po' in ritardo, è che siamo nella stagione secca. Ma proprio secca. Non una goccia in tre mesi, figuratevi. Il 2 e il 4 marzo vado rispettivamente in direzione di Phang Nga e Laem Kruat. Non trovo niente eccetto una N. mirabilis assetata vicino a una riserva di pesca e un po' di U. gibba che cresce nel fango di alcune risaie e in una pozza d'acqua.

L'8 marzo cambia tutto. Alle 9 del mattino io e il mio amico Ken, svedese di una certa età, con capelli biondi rasta fino al polpaccio, i baffi di Asterix e l'anima persa nei bei tempi di Woodstock (d'altronde chi volete che passi tre mesi a Krabi se non il sottoscritto e questa reliquia degli anni '70?), noleggiamo una motocicletta e partiamo in esplorazione verso il Parco Nazionale di Khao Phanom Bencha. Sulla strada trovo ancora un po' di U. gibba e alcune U. aurea in un laghetto di ninfee. Arrivati al parco nazionale, visto che il prezzo d'ingresso ci coglie impreparati, torniamo indietro, sempre guardandoci bene intorno, cercando le zone umide. Andiamo in direzione di Wat Tham Seua, un tempio circondato da un piccolo parco, dove non si paga. Qui Ken entra nel grande tempio buddista, si inginocchia davanti a un piccolo altare e svolge dei rituali. Mentre aspetto che finisca, un monaco vestito di arancione mi chiama in disparte, mi fa inginocchiare e mi lega al polso un braccialetto portafortuna. Ken intanto ha finito, riceve in regalo alcuni amuleti e, dopo aver saputo da una guida che in quel parco non c'è una goccia d'acqua, riprendiamo la motocicletta e ci dirigiamo verso la rete di stradine che da Krabi portano ad Ao Nang e Railay. Sul lato destro della strada vedo finalmente quell'ambiente a me tanto caro. Ciuffi d'erba qua e là, sabbia bianca e rossa, e qualche riflesso dato dall'acqua. Scendo dalla moto e aguzzo la vista. E' un attimo, vedo una spiga di fiori che emerge dall'erba, poi delle foglie più larghe. Inizio a correre. Ken mi raggiunge con calma, accendendosi una sigaretta ed esplorando la zona in altre direzioni. Nepenthes mirabilis a decine, con ascidi di ogni forma, grandezza e colore, dai 10 ai 20 cm, dal verde al giallo al rosso. Sembrano quasi quattro o cinque specie diverse, ma non ci sono dubbi, è sempre N. mirabilis. Cambiano solo le trappole, il resto della pianta è sempre uguale. Crescono singole o in piccoli gruppi, molti metri distanti le une dalle altre, seguendo probabilmente le venature del terreno più adatte nella composizione chimica e nel livello di umidità. Si tratta di sabbia, argilla e un misto dei due. Con la telecamera riprendo i diversi tipi di ascidio, e nel frattempo cerco anche qualche Utricularia, visto che il posto è davvero grande e promettente. Quando raggiungo Ken dall'altra parte della palude, mi dice che lì c'è un po' d'acqua con delle cosine verdi che forse sono quelle che cerco io (gli avevo spiegato che cercavo anche Utricularia e gliel'avevo descritta). Vado a vedere. "Un terreno perfetto", penso avvicinandomi. Poca erba e un velo d'acqua di mezzo centimetro al massimo che copre un'area di alcuni metri quadrati. E santo cielo, sul terreno, puntini gialli ovunque. Sono un mare di U. gibba e U. bifida, con fiori e frutti, più U. geoffrayi, dai fiori bianchi, sparsa in minor numero ai bordi dell'acquitrino. Insomma, un paradiso di piante carnivore. Allora comincio a pensare: "Che sia stato il braccialetto?". Sulla via del ritorno abbiamo trovato, in una risaia asciutta, altre Nepenthes, più piccole. Stranamente, in questo caso, anche se le piante erano almeno una decina, non c'erano variazioni di colore e aspetto tra i vari esemplari.


Bene, è tutto. Il 29 marzo torno in Italia e dopo pochi giorni riparto per Londra, sperando di lavorare un po'. Una curiosità: il film The Beach con Leonardo DiCaprio è stato girato a Bangkok e a Krabi, e l'isola tanto celebre del film è Ko Phi Phi, a mezz'ora di barca da qui.

Sotto,
le piante trovate con Ken alla "palude fortunata".