Marcello goes to Sydney, Australia
AIPC News 18: 18-23, AIPC News 19: 10-12 (2002).

Epoca dei fatti: 21 ottobre 2001 - 8 gennaio 2002.

Se sei un giardiniere e vuoi lavorare in un orto botanico, sei mesi di stagione invernale non sono il periodo migliore. Così sono andato dall'altra parte della Terra, a Sydney, per continuare la mia attività. Arrivo il 21 ottobre. Il giorno dopo comincio il mio lavoro non retribuito all'orto botanico, che andrà avanti fino al 21 dicembre. Dopo aver trovato un'accogliente stanzina sopra un pub, inizio a mettermi in contatto con gli appassionati della Carnivorous Plant Society della zona. Prima di procedere, bisogna chiarire come funzionano le CPS in Australia. Al contrario di quello che molti pensano, non c'è un'associazione con varie sezioni, c'è un'associazione per ogni regione. Abbiamo la New South Wales CPS, la Victoria CPS e la South Australia CPS. Quest'ultima è stata la prima a nascere (per questo si chiama invero Australian CPS) e ha più soci esteri che australiani. Ognuna di queste CPS si occupa principalmente di mettere in contatto i soci della propria regione. Questo perché, data la grandezza del territorio, sarebbe impossibile gestire un'associazione continentale. Persino i semplici contatti fra le tre associazioni sono
molto pochi. La New South Wales CPS conta circa cento soci, di cui cinquanta concentrati nell'area di Sydney. E' stata fondata sedici anni fa.

Venerdì 9 novembre sono andato al meeting mensile che la New South Wales CPS organizza presso un centro di ritrovo chiamato Woodstock. C'erano circa venticinque persone. Sono stato accolto molto calorosamente dalla responsabile biblioteca Kirstie Wulf e dalla tesoriera Janet Pierce. Erano in programma uno show di diapositive sulla Nuova Caledonia commentate dal francese Laurent Legendre e un concorso a premi per la migliore Sarracenia. Le diapositive sono state eccezionali. Ero completamente rapito dal vedere in che razza di condizioni crescono Nepenthes vieillardii, Drosera neocaledonica e alcune utricularie native di quest'isola. Pare che la N. vieillardii richieda sole diretto, caldo e un terriccio molto asciutto per dare il meglio. E' infatti abituata a crescere sulle rocce, sull'argilla e in altri luoghi che sarebbero più adatti a un cactus che a una Nepenthes. Questo grazie a un fusto che si estende sottoterra, sviluppando un sistema radicale solo a una certa profondità, mentre alla base della pianta si forma un rigonfiamento che funge da riserva quando l'acqua scarseggia. Pensate che un'ampia area dell'isola è stata disboscata e danneggiata; bene, approfittando della natura pioniera delle Nepenthes, che di solito sono le prime a ripopolare l'ambiente dopo un incendio o un disboscamento a causa del ritorno di luce in abbondanza, il governo ha deciso di spruzzare tonnellate di torba mischiata ai semi di N. vieillardii su tutta la zona per favorire la rinascita della vegetazione. Immaginate che giardino ne verrà fuori. Il concorso è stato invece vinto da un ibrido, credo tra Sarracenia psittacina, S. leucophylla e altro. Devo affermare che è stata una vittoria più che meritata. La vincitrice, Jessica Biddlecombe, ha saputo dare molta dignità a un semplice ibrido usando un vaso di simil coccio essenziale e molto elegante, e un tappeto di sfagno verde e assolutamente perfetto. Ho parlato per quaranta minuti con lei e suo marito per sapere tutto su quello stupendo vaso. Infatti, finché non me lo hanno confermato, non ero sicuro se fosse plastica o argilla. Si tratta di una plastica particolare, stranamente rugosa e fredda, e lo spessore del vaso è di quasi un centimetro. Un'imitazione perfetta, con tutti i vantaggi della plastica ma l'eleganza del coccio. Molti hanno portato piante da scambiare, vendere o semplicemente esporre. Notevoli le N. aristolochioides e N. eymae di 50 cm e alcuni ibridi. Mi sono stupito del fatto che fossero coltivate in sfagno puro. Alla fine della serata, ovviamente, tè e pasticcini. Durante tutto l'incontro ho avuto la sensazione di essere tra amici. Mi sentivo molto a mio agio, capivo il loro inglese e tutti erano molto estroversi e sembravano fieri di avermi lì come ospite, attaccavano facilmente bottone e alla fine poco ci mancava che alcuni non mi abbracciassero quando ho annunciato che sarei andato anche al meeting prenatalizio. Il nepenthofilo Terry Nichols mi ha dato un passaggio a casa e per tutta la mezz'ora di percorso siamo stati abbastanza monotematici.

Il 24 novembre sono andato con Kirstie Wulf sulle Blue Mountains. Oltre alla vista spettacolare - si tratta di un canyon coperto di foreste di eucalipti, dove i monti ricordano molto i Tepui - ci siamo goduti anche lo spettacolo dato dalla super abbondante D. binata var. dichotoma. Il nostro tragitto non ha seguito nient'altro che una lunga e alquanto ripida scaletta in pietra che percorre dall'alto verso il basso tutta la facciata di una vasta parete rocciosa dominata dalla cascata Bride Veil (velo da sposa). La parete è costantemente umida in molti punti, e muschio, torba e argilla si sono depositati qua e là offrendo un buon appiglio alla vegetazione. Qui crescono D. spatulata, capace di vivere pure su un grammo di terra su una roccia bollente, D. binata "T-form" e var. dichotoma, D. pygmaea e D. peltata. La D. binata "T-form" era sempre rossa, e cresceva di solito a fianco della var. dichotoma, su sabbia, torba o argilla, dove comunque era sempre umido. Lo spettacolo migliore era dato dalla var. dichotoma, verde e molto più abbondante, che formava cespi di un metro di lunghezza che seguivano le linee tracciate dai residui di terreno incastrato tra gli strati di roccia. Spesso ci trovavamo a camminare e, vedendo le prime var. dichotoma ai nostri piedi, le "seguivamo" fino ad accorgerci che le piante più grandi stavano proprio sulle nostre teste, a uno o due metri di distanza, pendenti dalle sporgenze sulla parte superiore delle quali avevamo appena camminato. Uno spettacolo di gocce illuminate dal sole e quasi sorridenti del fatto che nessuno avrebbe mai potuto raggiungerle là in alto. Da una zona della parete particolarmente esposta ci è stato possibile ammirare, col binocolo, queste migliaia di piccole V distribuite in modo regolare su tutta la facciata. Drosera pygmaea e D. peltata crescevano invece molto più rare, spesso in compagnia delle altre drosere. La prima sempre sulla facciata verticale (forse perché così facendo riesce a evitare di essere coperta dalla vegetazione), la seconda sia sulla facciata sia per terra, ai lati della stradina, facendosi spazio tra i fili d'erba. Tutte queste specie sembravano attirate innanzitutto dall'acqua, unica e insostituibile fonte di vita. Potevano crescere su qualunque tipo di suolo, magari poche e verdognole per la scarsa luce, ma sempre e comunque dove poteva essere assicurata una buona umidità del terreno anche nei periodi più caldi e senza piogge. Abbiamo incontrato anche un paio di utricularie sulla nostra strada, U. uniflora e U. lateriflora, entrambe abbastanza rare. La prima, con sempre cinque fiori per metro quadro al massimo (probabilmente siamo arrivati in anticipo noi, perché i boccioli ancora chiusi erano molti), cresceva sia sulla parete sia per terra, ma mai sommersa. La seconda spesso e volentieri cresceva invece sommersa da 1 cm d'acqua o poco più, per terra o sulle sporgenze della roccia, ma mai in verticale sulla facciata.

Il giorno 25 novembre sono andato a visitare la collezione di Greg Bourke, responsabile della banca semi. Prima di arrivare alle due serrette stracolme di piante carnivore, Greg mi ha mostrato due piccole torbiere costruite in giardino. In una, oltre alle varie sarracenie, c'era anche una U. longifolia var. forgetiana in fiore. Foglie corte, compatte, un po' macchiate dal sole ma più che felice. Greg mi ha detto che in inverno spesso perde tutte le foglie, ma in primavera ricomincia a crescere meglio di prima e si copre di fiori. Nell'altro piccolo habitat - non proprio una torbiera, visto che c'era solo sabbia - crescevano alcune drosere pigmee. Tutte le tuberose erano ormai a riposo e invisibili. Anche una N. maxima e vari ibridi vivono in giardino, sotto un albero, rispuntando sempre più vigorosi nonostante ogni volta Greg li tagli a livello del terreno se crescono troppo. Devo ricordarvi che qui a Sydney in inverno le minime sono intorno ai 10-12°C. Entrando nella prima serra sono colpito dall'immagine d'insieme. Oltre alle Nepenthes, ci sono orchidee e Bromeliaceae che contribuiscono all'armonia di colori e ricordano le misteriose serre tropicali vittoriane che a me piacciono tanto. L'ombreggiatura è dell'80% e la temperatura è 37°C. Fa molto caldo e comincio a gocciolare. Ma le Nepenthes stanno bene, anche se mi accorgo che sono quasi tutti ibridi. Pare infatti che molti si lamentino degli alti prezzi delle poche specie in circolazione e che gli ibridi siano diventati tristemente fin troppo comuni, sebbene Greg ormai se ne voglia sbarazzare. Tra le specie degne di nota, una N. eustachya con trappole di 15 cm circa, quattro o cinque diverse varietà di N. alata con trappole di 15-20 cm, due o tre di N. ventricosa sempre con trappole di notevoli dimensioni, un paio di piccole N. rajah, una piccola N. mirabilis "John Holmes" e una N. truncata con trappole di 20 cm. Vedo anche una U. humboldtii che sembra stare abbastanza bene e una U. quelchii con una sola, piccola fogliolina. Nella seconda serra ci sono le drosere. Quasi tutto il bancale di destra è colmo di vasi apparentemente vuoti, con numerose tuberose a riposo. Il terreno è duro quasi come la roccia, formato da sabbia e ghiaia. Mi restano impresse delle grandi D. filiformis, D. binata var. multifida e D. hamiltonii. Le numerose pigmee crescono in colonie in vasi di 20 cm di diametro per assicurare alle radici di poter viaggiare in profondità prima di trovare l'umidità sul fondo. C'è un'altra U. longifolia var. forgetiana in fiore, e sotto il bancale la prima U. volubilis che vedo dal vivo, immersa in acqua e apparentemente felice, anche se non ci mostra ancora i suoi splendidi fiori. Prima di uscire (anche qui la temperatura è alta, ma con meno ombreggiatura) saluto il Cephalotus, anche lui sotto il bancale. Carino, ma ancora niente a che fare col gigante di Andrea Amici. Così come noi abbiamo difficoltà a coltivare le piante carnivore italiane, qui hanno problemi a coltivare il Cephalotus, per motivi a me ancora poco chiari. Anche Dionaea e Darlingtonia restano generi coltivati da pochi eletti. Finita la visita prendiamo il furgoncino bianco scassaticcio di Greg - che fa molto australiano - e andiamo al Royal National Park, che sta a quindici minuti di distanza. Non prima di aver speso la solita oretta a parlare di Nepenthes (star della giornata: N. mirabilis var. rowaniae) e a guardare le foto sul suo computer davanti a un bicchiere di Sprite. Al Royal National Park ci aspettava la solita D. spatulata onnipresente, D. binata, U. uniflora in abbondanza, U. uliginosa e... sorpresa: D. capensis! Pare sia stata naturalizzata qui più di trent'anni fa. Nonostante ciò, vedo solo quattro o cinque grosse piante, vicine tra loro. In trent'anni, pare che sia stata piantata e sia cresciuta, a detta di Greg, solo in quell'unico punto. Tutte queste specie le abbiamo trovate sulle sponde sabbiose di un piccolo corso d'acqua, profondo sì e no 30 cm e largo un paio di metri, in una zona completamente esposta al sole diretto. Abbiamo anche trovato qualche fusto secco di D. peltata, i cui tuberi riposavano tra uno strato di muschio completamente asciutto e spesso 1 cm, e la superficie di un grosso macigno mezzo sepolto nella terra. Greg mi ha poi portato in una laguna, formatasi grazie alla costruzione di una strada che blocca artificialmente il corso di un fiume. Qui abbiamo trovato qualche pianticella di U. australis - un tempo molto abbondante - che ha resistito al principio di inquinamento che sta arrivando anche in questo angolo di paradiso. Una cosa mi ha incuriosito e direi quasi commosso. Sia sulle Blue Mountains sia al Royal National Park, le nostre care piante carnivore mi hanno dimostrato quanto adattabili ma al tempo stesso specializzate possano essere. Per intenderci, sia Kirstie sia Greg hanno girato per circa dieci anni queste zone in cerca di piante carnivore, eppure i posti che mi hanno mostrato sono quasi gli unici dove si possono trovare. Per centinaia di chilometri si estendono boschi e fiumi, ma solo in quei dieci metri quadrati, dove l'acqua anche se poca è costante, il sole è diretto e il terreno è povero e sabbioso, solo lì crescono le piante carnivore. Magari sulla roccia o in condizioni in cui altre piante pioniere morirebbero certamente, eppure crescono solo lì. Poi niente per altri 100 km.

Il 9 dicembre è stata la volta del Christmas Swap meeting. Anche se l'edizione di quest'anno è stata meno notevole della precedente, in questa occasione tutti portano il meglio della loro collezione, per scambiare, vendere o esporre. Ricordo molte delle piante che avevo già visto da Greg, una fitta S. flava var. ornata, D. regia e D. filiformis da competizione, una N. truncata con ascidi di 25 cm, N. aristolochioides, N. eymae, N. ventricosa e una bella N. talangensis, oltre a vari ibridi, molto belli ma sempre ibridi. Anche un ibrido di Heliamphora, H. heterodoxa x minor, davvero bello, grosso e compatto, e poi U. longifolia var. forgetiana in fiore (siamo proprio noi gli unici che non ci riescono) e altre utricularie un po' meno conosciute. Ma come sempre il bello è stata la varia umanità. Oltre al caratteristico barbecue in cui ognuno si cucina la roba che si porta da casa, c'è stato un concorso per gli esemplari migliori di ogni specie (praticamente un premio per ogni pianta esposta) e un concorso per chi somigliava di più alla propria pianta. Ha vinto un giovane alto e slanciato con la sua S. alata "red throat" x flava (S. x popei). Il premio per la pianta più bella invece, vinto da Greg, era un meraviglioso ascidio di N. x trusmadiensis (mandato da Phil Mann) immerso nel bronzo e trasformato così in una scultura perfetta ed eterna. Il tutto per circa 200.000 lire. Dobbiamo farlo assolutamente anche noi, il risultato è fantastico.

Bene, arrivo così anche alla fine del mio lavoro all'orto botanico. Purtroppo lì le piante carnivore non sono tenute in molta considerazione. Ho sfogato comunque la mia passione proprio l'ultimo giorno, convincendo il responsabile del vivaio tropicale a spostare alcune grosse Nepenthes, piene di foglie ma senza l'ombra di un ascidio (N. mirabilis, N. ventricosa, N. reinwardtiana, N. x mixta e N. x rokko), dalla serra tropicale a quella più illuminata di tutte, dove sono tenute le Cycadaceae. Alla fine della stagione mi farò spedire qualche foto per vedere come procedono. Anche all'Orto Botanico di Mt Tomah, dove pure non c'è ombra di piante carnivore eccezion fatta per una collezione di sarracenie di quattro metri quadri, ho fatto il mio dovere. Le piante in questione erano state asportate dalla palude all'aperto a causa di lavori in corso, e quindi malamente rinvasate. Ho spostato in superficie i rizomi che erano stati piantati 4 cm sottoterra (!) e ho fatto sì che i cespi - ormai cresciuti fino al bordo dei vasi - fossero rialzati rispetto al suddetto bordo, cosicché, anche se un futuro rinvaso resta necessario, per un altro paio di anni potranno crescere liberamente al di fuori. Dopo aver eliminato vari vasi di piante morte, ho messo dei fogli di plastica nei sottovasi bucati e ho detto alla responsabile di evitare l'uso degli innaffiatoi automatici dall'alto (che riempiono gli ascidi di acqua e li fanno piegare) e di usare invece quelli che loro chiamano spaghetti (di gomma) in modo da mandare l'acqua direttamente nei sottovasi. Anche in questo caso mi manderanno delle foto dei risultati, forse in tempo per pubblicarle sul bollettino. Comunque, a parte questi due sporadici episodi, ho lavorato per due mesi con quelli che noi chiamiamo gerani, cioè tutto tranne le piante carnivore. Ho tolto erbacce, pulito, potato, innaffiato e pacciamato con gente simpatica, interessante e con cui è facile parlare per ore del più e del meno senza annoiarsi mai. Il tutto di fronte alla vista di un meraviglioso giardino botanico circondato da eleganti grattacieli, dal porto di Sydney e dalla trionfante Opera House. Momenti che non scorderò mai. Ma arriva il Natale. E che strano Natale. Sono solo come un cane, in città è tutto chiuso, non c'è nessuno in giro, ci sono 32°C e neanche un filo di vento. A coronare questa assurda atmosfera, c'è lo strano cielo che vedo dal mio balcone. Un cielo blu e limpido alla mia destra e stranamente grigio e arancione a sinistra. Quando si comincia ad alzare il vento e arriva una puzza familiare, mi viene detto dai vicini di stanza che Sydney è circondata dalle fiamme. Ma non c'è da preoccuparsi, perché gli incendi non possono arrivare alla città e restano a circa un'ora di treno da dove abito io. Greg mi ha fatto poi sapere che il fuoco è arrivato a cento metri da casa sua e tutte le località che avevamo visto con lui sono bruciate, insieme all'80% del parco. L'ironia vuole però che il fuoco, disgrazia per uomini, animali e cose, sia una manna per le piante carnivore. Finalmente, col campo libero da alberi, cespugli ed erba, avranno di nuovo abbastanza luce per ripopolare la zona. Passo anche il capodanno all'orto botanico, con una vista incredibile sui fuochi d'artificio sparati dai grattacieli, dalle navi, dalla costa e dall'Opera House. La settimana dopo mi organizzo per trovare un posto più economico di Sydney, visto che come giardiniere in proprio ho guadagnato solo 700.000 lire. Il biglietto per l'Italia mi consente uno stop over interessante in un posto molto economico: la Thailandia.

Sotto, in gita con lo staff dell'orto botanico sulle Blue Mountains.